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Intervista ad Alessandro D’Agostini di Alessio Brugnoli.

Gentile Maestro, cominciamo con la domanda più semplice e banale: cosa sono i “Poeti d’Azione”?

I Poeti d’Azione sono un’avanguardia artistica da me fondata nel 1994.
Nacquero da subito in forte opposizione al mondo culturale artistico istituzionale ritenuto da noi chiuso, autoreferenziale, retrivo, incapace di dialogare con coloro che si trovino a operare autonomamente da esso.

Nel ’94 eravamo tutti poco più che ventenni e da parte di coloro che gestiscono le “patrie lettere”, c’è pure una diffidenza epidermica e un’avversione naturale verso i giovani poeti, autori, artisti.
La posizione di tali “gestori” sembra essere pressappoco questa: I giovani talentuosi vanno scoraggiati nei loro tentativi, dissuasi dal proseguire e scacciati con ogni mezzo.
La cittadella delle lettere non deve essere da loro assolutamente espugnata! Vade retro… etc.

Ironizzo, certo, ma le cose non stanno certo in modo troppo diverso da questo. Ricordo che il critico Arnaldo Colasanti, che nonostante tutto stimo, quando all’epoca ad una presentazione di un libro gli dissi che nella vita avrei fatto solo il poeta e gli chiesi di leggere i miei componimenti per avere una valutazione, lui senza mostrare nessun interesse per me e i poeti d’azione (nonostante fossimo già molto attivi ed io già noto a livello nazionale), mi disse per evidentemente farmi “desistere” dal mio intento: “Devi trovarti un lavoro”.

Se avessi dato retta a lui a quest’ora l’Italia avrebbe un poeta di meno e un frustrato di più. Purtroppo evidentemente certi critici il lavoro lo trovano con facilità e nessuno li scoraggia o li rimuove dal loro ruolo anche quando sono evidentemente pessimi maestri per le nuove generazioni.

Vale la pena che io citi un altro episodio. La signora Volpe-Spaziani alla mia domanda su chi si prendesse la briga di leggere al suo Premio Internazionale Eugenio Montale i manoscritti degli autori esordienti, mi rispose candidamente che lo faceva lei di notte nell’arco di due – tre ore.

Le chiesi a quel punto, per comprendere quale fosse la mole di lavoro che diceva di sobbarcarsi in poche ore notturne, quanti fossero i manoscritti pervenuti e lei mi ripose che si trattava di più di 700 manoscritti. E’ evidente che si stava burlando di me.

Nessuno può valutare seriamente, prima del sonno e in poche ore una mole tanto cospicua di proposte letterarie a meno di estrarre dal mucchio vincitori e finalisti alla cieca. Ricordo che questa fu la goccia che fece traboccare il vaso e decidemmo di contestare pubblicamente il Premio, la sua presidentessa e le consegnammo con una protesta eclatante una bara di tre metri con sul coperchio una croce e incisa in oro la parola Poesia.

In ogni caso attualmente le cose oggi sono un poco cambiate a nostro favore. Come si dice chi la dura la vince, e oggi siamo spesso noi ad invitare a nostre rassegne letterarie ed eventi autori e critici coi quali all’epoca c’era impossibile e vietata ogni agibilità dialettica.

Non è che loro siano poi tanto migliorati o si siano ravveduti improvvisamente, ma il fatto è che hanno evidentemente preso atto della nostra concreta esistenza. Del resto il fenomeno “poeti d’azione” negli anni è giunto agli onori della cronaca e non è stato più possibile tacere di noi.

In Italia, in una cultura schiava del postmoderno, c’è ancora spazio per l’avanguardia?

Un gruppo d’avanguardia si differenzia da un semplice gruppo di artisti o di “ricerca” artistica essenzialmente per la volontà degli artisti d’avanguardia di incidere con la propria arte sulla realtà nel suo complesso con l’intento di modificarla e superando i limiti di un’azione che sia circoscritta ad un ambito strettamente “estetico”.

Gli artisti solo “impegnati” prendono generalmente a prestito idee e contenuti politici o sociali da altri e di questi contenuti interessano il loro discorso artistico, mentre gli artisti d’avanguardia sono in grado di elaborare essi stessi un pensiero ed un'”ideologia di riferimento” da portare avanti.

Per quanto riguarda l’essere schiavi del postmoderno, le rispondo che è vero, il “postmoderno” in Italia è una sorta di “pantano” dal quale non si riesce ad uscire, anche perché tanti intellettuali nostrani evidentemente non vogliono o non sanno uscirne.

Franciois Lyotard definì il postmoderno come la fine della capacità di ordinare la realtà attorno ad un’ideologia precisa (lui parla di fine delle “meta-rappresentazioni” o dei “meta-discorsi”). Nel ’91 Lyotard ha affermato rispondendo a cosa sia il postmoderno: che oggi “non c’è più, non si crede più che ci sia una linea escatologica, un cammino verso un fine. E questo è postmoderno” (da un’intervista alla Stampa, del 14/05/1991).
Tale “condizione” di fine del divenire storico, sorta in seguito alla caduta delle fedi collettive nelle grandi ideologie politiche e/o religiose, mi trova su posizioni di aperto contrasto. La c.d. fine della storia postmoderna è a mio avviso collocabile nel ‘900 negli anni dell’immediato dopoguerra, all’indomani della fine del conflitto bellico, punto di “arresto” che ha interessato sia l’arte sia il pensiero filosofico, arresto sfociato nel c.d. “pensiero debole” e in un eclettismo minore nel pensiero come nelle arti e nell’architettura.

Tale tendenza in mancanza di spinte di superamento o di svolta efficaci e duratura si è poi protratta fino ai giorni nostri. Noi come Poeti d’Azione riteniamo che si possa uscire dal postmoderno riconnettendo il presente alla cesura di allora e proseguendo nello scenario mutato di oggi ciò che allora era in fieri.
Si esce dallo stallo della storia rimettendola in moto.

Come può la parola sommuovere l’esistente per modificarlo? In un mondo sempre più banale e prosaico, più la parola andare oltre la semplice descrizione delle cose, per recuperare una dimensione magica ed evocativa?

La poesia per sua natura si contrappone al “mondo sempre più banale e prosaico” di cui lei parla. E’ “lo scarto” in avanti e “in alto” del linguaggio che per mezzo del poeta assume valore rigenerante per le strutture logore della lingua e che, sempre per suo tramite, torna a rivestire un ruolo “magico” perché diviene linguaggio “creatore di realtà in atto”, fuori da ogni pedissequa mera “rappresentazione” dello status quo.

Forma o contenuto: cosa scava più la coscienza dell’Uomo?
Una realtà che non possieda una solida struttura tende a degradarsi, sgretolarsi, scomparire.
Una forma perfetta resiste l’usura del tempo, ma perde forza e significato quando il mondo che la circonda la guarda senza autentica comprensione o come semplice lascito inerte di un passato inghiottito dal tempo.

È questo il caso dei resti di civiltà che hanno operato mettendo forma e contenuto sullo stesso piano come gli antichi egizi o la civiltà greca classica.
Per quanto mi riguarda ritengo che solo l’arte che sia in grado di fornire la giusta “forma” ai suoi contenuti possa considerarsi davvero tale e che pertanto possa essere capace di scavare a fondo nella coscienza dell’uomo.

Non è un caso che i testi religiosi di ogni epoca sovente sono scritti in versi. La poesia è la forma-bellezza che assume la bellezza-verità. Questi concetti purtroppo sfuggono a molti docenti, che dovrebbero di insegnare a fare arte alle nuove leve o tentare valutare e dare posizione critica a quanto si produce. I risultati sono gli occhi di tutti: l’inutilità e la non arte.

In Italia l’Artista Impegnato appare spesso come il Tartufo di Molìere, pronto a predicare la virtù, per ottenere applausi e prebende, piuttosto che a rimettersi in discussione.

Ciò è dovuto al fatto che il c.d. artista impegnato di oggi è solo la gran-cassa del potere dominante o di una parte cospicua di uno o più “poteri” che ne costituiscono la consorteria corporativa.
Il potere legittima “solo” i propri agenti di propaganda, non chi sia in grado do metterlo in discussione in modo radicale.

Come può il poeta d’azione ribellarsi a tale ipocrisia?

Il poeta d’azione tenta altre strade, impervie che risultano essere nel territorio scabroso dell’inaccettabile e del proibito.
La condanna che si trova a subire chi operi in questo modo è la difficoltà ad essere incisivi; in qualche caso anche per non poter accedere direttamente e con facilità alla “spartizioni” dei fondi pubblici per la cultura che sono destinati e ripartiti fra chi non da fastidio a “lorsignori” o da noia solo in apparenza sciorinando le stesse argomentazioni banali e già di pubblico dominio che tanti comici o teatranti blasonati di oggi sciorinano per continuare ad accaparrarsi “la torta” agendo da marionette o scimmie ammaestrate…, ma del resto sono molti anni che esistiamo ormai e non ci lamentiamo per questo.

Come Poeti d’Azione ci troviamo in una posizione limite e quasi paradossale, perché il nostro dichiarato “antiaccademismo colto” ci colloca ad un tempo fuori dai confini protetti dell’accademia, come lontano dai ghetti dell’underground pretenzioso che si auto ghettizza in nome di una purezza e di un’autonomia falsa.
Noi non facciamo poesia e arte underground ma Poesia e Arte, per questo non abbiamo nessun complesso di inferiorità di natura artistica o culturale.  ==> Seguita a pagina 2

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